Luciano Bianciardi è stato un giornalista, traduttore e scrittore italiano. Laureato in filosofia, professore di liceo e direttore della Biblioteca Chelliana di Grosseto, colto, preparato, attento, Bianciardi si fece a lungo parte attiva di una condivisione culturale collettiva. Nel suo periodo professionale di bibliotecario a Grosseto, la sua città natale, si fece promotore della divulgazione territoriale: con il suo Bibliobus girò la bassa Maremma e arrivò anche nel piccolo paese di Ribolla. Ribolla, un nome che significa già tutto. Un angolo molto caldo della Toscana, sotto tanti punti di vista. Una collettività che sopravviveva grazie alla vita di miniera, una vita agra, se volessimo anticipare il titolo di quello che sarà il suo romanzo più celebre. Il 4 maggio 1954 uno dei pozzi esplode uccidendo 43 lavoratori che lui conosceva e che cercò di aiutare in una veglia di giorni tra speranze e dolore: una tragedia (ne scriverà in una inchiesta realizzata a 4 mani con Carlo Cassola, I minatori della Maremma, Laterza 1956) che segna la vita di Bianciardi con un prima (la vita in provincia) e un dopo, il trasferimento a Milano e il lavoro in Feltrinelli, l’esperienza di traduttore e di scrittore. Tra le sue numerose opere si ricordano: "Il lavoro culturale" (Feltrinelli, 1957), "L'integrazione" (Bompiani, 1960), "Da Quarto a Torino. Breve storia della spedizione dei Mille" (Feltrinelli, 1960), "La vita agra" (Rizzoli, 1962), "La battaglia soda" (Rizzoli, 1964), "Aprire il fuoco" (Rizzoli, 1969), "La solita zuppa e altre storie" (Bompiani, 1994). Le opere complete sono raccolte nei due volumi "L'antimeridiano" (Isbn, 2005 e 2008).
Dopo un periodo di oblio, la biografia di Pino Corrias "Vita agra di un anarchico" (Baldini e Castoldi, 1993, ora nella collana Universale Economica di Feltrinelli) ne riportò in auge l'opera, oggi molto apprezzata per la qualità della scrittura e per la vena antimoderna.
Piaceva a tutti e non piaceva a nessuno, Luciano Bianciardi. Protagonista della vita notturna degli anni del boom milanese, gli anni in cui i soldi giravano, e tanti, e la sera gli intellettuali si mescolavano con ricchi e industriali, tra feste private e serate infinite nei locali.
«L'ho conosciuto dopo l'uscita della Vita agra, quando è diventato un po' famoso. Ci siamo incontrati a un ricevimento in casa Porzio o forse addirittura in casa mia. Abitavo in via Vanvitelli, lavoravo al Giorno, guadagnavo moltissimo, era il mio periodo di megalomania. Lui venne a presentarsi, mi disse: "Ecco qua il campione dell'infatuazione neocapitalistica, bravo, bravo...". Mi sfotteva... Lui era diverso, gli piaceva fare la parte del bohémien che sfotte la gente. Non abbiamo legato molto, insomma. Non è che fosse antipatico, anzi era molto divertente, ma se uno accetta di frequentare quel genere di feste, è inutile che poi giochi a fare l'anarchico». Così lo ricordava, non del tutto benevolmente, Giorgio Bocca, nelle pagine di Vita agra di un anarchico. Luciano Bianciardi a Milano, la biografia di Pino Corrias.
Ma lui non era così, smise di frequentare quella gente prima di esserne allontanato, o peggio, “prima di diventarne una attrazione serale”. Cercò altri amici nelle cantine del neonato cabaret, il Derby Club prima, il Cab 64 poi. «Quelli erano anni duri con nebbia che era nebbia e soffocava dentro alle case discografiche, dentro alla Rai, dove me mi cacciavano, e allora si stava fuori, nei locali a fare musica, a inventare con il matto Luciano e tanti che si sono ammazzati». Nel ricordo di Enzo Jannacci, che di quel mondo era tra i protagonisti, emerge uno spaccato semplice ma chiaro del fermento culturale che generò Gaber ed Enrico Intra, Piero Manzoni e Dario Fo. Anche in quella realtà Bianciardi entrò e uscì, mai del tutto incluso.
E torniamo all’inizio, a quel provinciale toscano pieno di astio sbarcato a Milano, a quell’intellettuale ormai disilluso, che mitizzava il Risorgimento, che sperava di trovare un riscatto, una chiave di lettura morale in realtà inesistente, illusoria.
Illustrazione di Asia Cipolloni, 2021